Buongiorno lettori!
Con questa prima tappa parte il BlogTour di “Livia e Laura” di Francesca Rossi, edito da Genesis Publishing.
Grazie a un bellissimo testo scritto da Francesca, avrete modo di scoprire di più sulla morte della Baronessa di Carini.
Questo articolo non va confuso con il Viaggio nella Palermo del 1950. Protagoniste: Livia e Laura – 1° tappa e 2° tappa, sono due cose separate.
Detto questo, vi lascio scoprire di più su Laura!
Buona lettura!
La Sicilia è terra di misteri e uno dei più intricati è, senza dubbio, quello della Baronessa di Carini.
Sono arrivata fin qui, di fronte al castello in cui abitò la baronessa Laura Lanza, con i piedi e la fantasia, per incontrare l’unica donna che può rispondere alle tante domande che ancora, nonostante studi e letture, si affollano nella mia mente.
Livia Altamura viene verso di me sorridendo; non c’è bisogno di abbracci, né di convenevoli. La conosco meglio di chiunque altro e saprei riconoscere tra mille quell’espressione da bambina e da adulta insieme.
«Sei qui per la storia di Laura Lanza, non è vero?» mi chiede con sguardo intelligente, di chi ha imparato a conoscere bene se stessa attraverso gioie e dolori.
Annuisco. «Raccontami di lei» le dico.
«Non ti è bastato tutto quel che hai letto, vero? Lo so. C’è sempre… ecco, c’è sempre qualcosa che sfugge perfino a me, un personaggio di fantasia. La verità non è mai facile da trovare e certe volte non basta una vita per analizzare i fatti. Allora, cosa vuoi sapere?».
«Chi era davvero Laura Lanza? Una donna ribelle o una vittima del suo tempo e degli uomini?» chiedo decisa.
«Sai, comincio a credere che sia stata entrambe le cose» afferma Livia mentre passeggiamo nel cortile a sud del castello, «ma non nel senso che credono tutti» aggiunge.
«Spiegati meglio» la esorto.
«Laura Lanza era figlia di don Cesare Lanza, un uomo senza scrupoli. Un violento, ecco, capace di qualunque cosa pur di ottenere ciò che voleva, abile nell’arte di “salvare le apparenze” a ogni costo. Insomma, un personaggio crudele da cui era meglio stare alla larga». La mia interlocutrice abbassa lo sguardo.
So bene che questa descrizione collima perfettamente con quella di suo padre, don Enrico Altamura, ma non siamo qui per parlare di lui.
Stringo appena la mano di Livia, per invitarla a proseguire; lei comprende e, sospirando, riprende il suo discorso. «A soli quattordici anni, nel 1543, Laura sposò Vincenzo La Grua Talamanca, Barone di Carini, che aveva solo due anni più di lei. Un matrimonio combinato, come si usava all’epoca e, ovviamente, Laura non era felice». Livia si ferma un attimo, poi riprende, il pensiero alle vicissitudini che hanno dovuto subire sia lei che Laura.
«Vincenzo era succube di don Cesare. Un incapace, ecco. Non aveva alcuna qualità e solo la principesca dote della moglie lo aveva salvato dalla rovina. Ciò significava, però, avere sempre il suocero tra i piedi.»
«Immagino, povera Laura! Che mi dici di Ludovico Vernagallo?» domando incuriosita.
«Ludovico era l’esatto opposto di Vincenzo. I due facevano affari insieme, gestendo uno zuccherificio. La leggenda vuole che ai tempi del matrimonio tra Laura e Vincenzo, Ludovico fosse già innamorato della giovane baronessa» mi confessa Livia con aria complice.
«E lei di lui» aggiungo annuendo.
«Sì. Sempre stando a ciò che la tradizione tramanda, Ludovico e Vincenzo avrebbero chiesto la mano della giovane Laura quasi contemporaneamente. Fu don Cesare a decidere e… chissà, forse non scelse Ludovico perché temeva la sua intelligenza» azzarda Livia.
«Chi lo sa? Forse è davvero come dici tu» confermo. «In fondo Ludovico sarebbe stato un pericoloso rivale, poco disposto a farsi manipolare».
Arriviamo nella presunta stanza dove avvenne l’omicidio; un ambiente ampio, spoglio, carico di Storia e sofferenza.
«Laura e Ludovico si innamorarono e iniziarono la loro relazione a dispetto di tutti, dico bene?». Cerco con lo sguardo Livia e mi specchio nei suoi occhi limpidi di sincerità.
«Dici benissimo» conferma la giovane attraversando la stanza. «A quanto pare i figli nati dal matrimonio con Vincenzo erano, in realtà, proprio di Ludovico. Questo spiegherebbe perché, dopo la morte di Laura, vennero diseredati dal Barone di Carini.»
«Se non sbaglio, dopo un po’ di tempo il Barone si pentì di questo gesto e riprese i figli con sé» ribatto, affacciandomi alla finestra proprio come era solita fare la Baronessa di Carini.
«Questo è ciò che si racconta. Cara Francesca, in questa tragica vicenda la realtà e la fantasia, la verità e la leggenda convivono da secoli e, forse, sono ormai indissolubili. Un po’ come me e te» soggiunge facendomi l’occhiolino.
Sorrido. Ha ragione ma, di nuovo, non siamo qui per parlare di noi. «Raccontami dell’assassinio di Laura. Dimmi tutto di quel giorno» le chiedo appoggiandomi al muro adiacente alla finestra.
«Era il 4 dicembre del 1563. Don Vincenzo e don Cesare sorpresero insieme i due amanti. Il Barone di Carini, però, non avrebbe mai avuto il coraggio di uccidere sua moglie, così chiese al suocero di farlo. Tutto il castello udì i colpi di archibugio che spezzarono le vite dei due amanti.» Livia si ferma a rimirare il panorama ben visibile dalla stanza di Laura, poi riprende: «Si dice che tutta Carini fosse a conoscenza dell’adulterio, perfino don Vincenzo, il quale non parlò forse per convenienza».
«Magari l’unico a non sapere era proprio don Cesare» ipotizzo grattandomi il mento. «E quando ha scoperto Vincenzo e Laura la sua folle gelosia e il senso dell’onore portato alle estreme conseguenze hanno avuto la meglio.»
«Possibile» interviene Livia. «Ciò che più mi fa… rabbia ecco, sì, proprio rabbia, è che nessuno dei due assassini venne punito dalla Legge. In un primo momento sia don Cesare Lanza che don La Grua dovettero fuggire, ma ben presto, invocando il delitto d’onore, fecero ritorno alle loro case.»
«E don Vincenzo si sposò altre due volte» aggiungo mentre ridiscendiamo verso l’uscita del castello.
«Tutto ciò che segue, il poemetto tanto famoso, i libri e il parere degli studiosi, mescola verità e leggenda. Si dice perfino che dal giorno della morte il fantasma della Baronessa vaghi senza pace per il castello e la sua mano insanguinata appaia ogni 4 dicembre sui muri testimoni di quel tragico destino» dice Livia aggrottando le sopracciglia. «Ma, al di là delle leggende, una cosa rimane e nessuno potrà cancellarla. Un delitto impunito contro un uomo e una donna che hanno pagato a caro prezzo la loro ribellione alle convenzione dell’epoca e sono morti per amore.»
Ci guardiamo negli occhi. Possiamo specchiarci una nell’altra, perché ci conosciamo in un modo che nessuno può capire.
«Sarà sempre così?» mi domanda malinconica.
«Così come?» rispondo, pur sapendo già quali pensieri attraversano la sua mente.
«Le donne continueranno a pagare con la vita la ricerca della libertà e del diritto ad amare senza costrizioni?»
«Spero di no, ma dobbiamo essere noi le prime a scommettere sulle nostre capacità, a credere che ogni legge non scritta possa essere mutata. Il cambiamento nasce da noi. Non sarà facile, la strada è in salita ancora nel mio mondo, ma… chissà» sospiro, augurandomi in cuor mio di riuscire a vedere un mondo nuovo e più giusto.
«Già. Chissà» ripete Livia, le nostre due ombre che si stagliano sul suolo un tempo calpestato dalla Baronessa, fino a fondersi in una sola.
Testo di Francesca Rossi
The Bibliophile Girl
Grazie per il tour. Ho sempre amato “L’amaro caso delal signora di Carini” fin da quando vidi nel 1975, ero infante, lo sceneggiato della Rai con Ugo Pagliai. Da allora sogno di andare a Carini e con questo articolo ci sono stata. Grazie, molto ben scritto. Davvero.