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Viaggio nella Palermo del 1950. Protagoniste: Livia e Laura – 1° tappa

Benvenuti a tutti coloro che desiderano intraprendere questo viaggio fra i colori e i profumi della Palermo del 1950.
In esso, potrete conoscere donne di altre epoche: la Contessina Livia d’Altamura e la Baronessa Laura di Carini, le quali vite si intrecceranno inesorabilmente fra le maglie del destino.
Sei “fermate”, dislocate un giorno a settimana, per un totale di sei settimane; in ognuna avrete la possibilità di leggere un estratto del primo capitolo. Qui, voi, potrete lasciare i vostri commenti e una domanda rivolta all’Autrice. Qualsiasi curiosità – sui personaggi, sulla storia, sulla scrittrice – sarà ben accetta. Al termine del Tour, verrà pubblicata un’intervista con tutte le risposte alle vostre domande. Gli articoli saranno presenti sul Blog “The Bibliophile Girl” e l’intervista verrà pubblicata su “Writing with Genesis Publishing.“.
Partecipate numerosi, questa storia vi terrà col fiato sospeso! Un romanzo da non perdere!

Vi presento il romanzo “Livia e Laura” di Francesca Rossi

Titolo: Livia e Laura
Autore: Francesca Rossi
Prezzo: 3,90 €
Pagine: 250
Editore: Genesis Publishing
Formato: ebook
Genere: storico, noir
Data di pubblicazione: 23 ottobre 2014

Sinossi
Palermo, anni Cinquanta. La giovane contessa Livia Altamura vive con il padre, uomo che pretende di avere il controllo assoluto sulla vita di sua figlia e, sistematicamente, quasi traendone un piacere perverso, si diverte a soffocarne ogni aspirazione, perfino quella di diventare medico.
Livia, seppur oppressa da questa situazione, non ha il coraggio di sottrarsi all’autorità paterna, dilaniata dal desiderio di indipendenza e dal dovere di assecondare le convenzioni sociali. Il senso di inadeguatezza che l’attanaglia trova conforto nel ricordo, sempre vivido, della voce di sua madre, morta quando lei era molto piccola e dei versi del poemetto dedicato alla Baronessa di Carini, che la donna le cantava per farla addormentare.
Per Livia il passato è avvolto in una nebbia fitta e oscura che nessuno, inspiegabilmente, vuole aiutarla a dissipare, mentre il futuro sembra già scritto negli imperscrutabili disegni di don Enrico Altamura.
Una sera, però, la vita della ragazza ha una svolta inaspettata e sorprendente. Durante una gita tra amici al castello di Carini, le sembra di scorgere in uno specchio l’immagine di una mano insanguinata e di una giovane donna che tenta di lanciarle un misterioso messaggio.
A chi appartiene quel viso pallido e spaventato? Potrebbe trattarsi del fantasma della baronessa Laura Lanza che, secondo le leggende, vagherebbe ancora nel castello dopo il suo cruento assassinio? Angosciata dal dubbio che la strana apparizione non sia il frutto della sua immaginazione, Livia decide di approfondire la storia di Laura, unico legame con la madre sopravvissuto al tempo e all’ostracismo del padre.
Da quel momento le vite delle due nobildonne si intrecciano, sovrapponendosi a dispetto dei secoli che le separano, in bilico tra amori impossibili e matrimoni imposti, sogni e doveri, verità e inganni, tradimenti e oscuri silenzi che raggiungono il culmine nel colpo di scena finale.

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Booktrailer

Come partecipare?

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∼ Potete lasciare un commento sotto tutte le tappe che volete con una domanda all’autrice riguardo l’estratto, la storia, curiosità, tutto quello che volete. Raggruppando le domande faremo un’intervista a Francesca Rossi che sarà pubblicata sul blog della Casa Editrice, Writing with Genesis Publishing.

Durata

Questo viaggio dura 6 settimane, da oggi 14 ottobre al 18 novembre. Ogni settimana, precisamente ogni martedì, troverete un articolo su questo blog con un estratto del libro. Voi, come ho scritto sopra, potrete leggerlo e commentare con la domanda che volete porre all’autrice.

E ora… l’estratto!

Buona lettura!

Livia

Palermo, 4 dicembre 1950

Il sole filtrò nella stanza attraverso le imposte accostate. Quando il primo raggio le sfiorò il volto, Livia aprì appena gli occhi e sprofondò ancora di più sotto le coperte, mentre sentiva il cuore accelerare sotto la spinta di una strana sensazione, di certo ereditata dal sonno che l’aveva appena abbandonata, una specie di languore capace di scompigliarle i pensieri ancora semiaddormentati, come se le mancasse qualcosa, o avesse perduto un oggetto a lei caro.
Chissà che avrò sognato mai?” Si chiese ancora intontita, ma già irritata, perché tra qualche istante Teresa, la governante, sarebbe venuta a tirarla giù dal letto. Accadeva così da anni, ormai. Ogni giorno, alle sette e trenta in punto, la domestica saliva adagio le scale, entrava nella sua stanza senza far rumore e, a un tratto, iniziava a battere le mani e a gridare con voce acuta. Quella mattina non fu diversa dalle altre.
«Piccirì! Arruspigghiatevi!1. Sveglia, su, su!» A nulla servivano le proteste di Livia, aggrappata alle coperte che Teresa le strappava via con vigore. «Avanti, figghia me’! Vostro patri già sta seduto al tavolo col giornale in mano! Aspetta solo a voi…»
Sentir pronunciare il nome di suo padre aveva il potere di risvegliare Livia in un attimo, facendole dimenticare la pigrizia, il sonno e qualunque altra cosa avesse attraversato la sua mente fino a quel momento.
Spalancò le palpebre, rendendosi conto in un baleno che non stava più sognando. Piombò giù dal letto rotolando tra le coperte e si diresse in bagno, seguita dalla fedele Teresa.
«Terè! Neanche in bagno da sola posso andare, adesso?» La voce di Livia era dolce ma ferma.
«Sempre a dòrmiri state, piccirì! A dòrmiri, a divirtirvi i a lèggiri!» Fece una pausa, guardò di sottecchi Livia chiuderle in faccia la porta del bagno e continuò. «Si nun travagghiassi io in ‘sta casa, guai sarebbero!»
«Terè, sempre la solita brontolona sei!» gridò divertita Livia.
«Eh sì, sì» disse sottovoce la domestica, mentre appoggiava le coperte e le lenzuola alla ringhiera del balcone. «Piccirì, piuttosto… amuninni. Andiamo che si fa tardi!»
«Mmm! Terè… uffa! Haju sonno.»
«Eh no! Voi, in italiano dovete parlari.» Teresa scandì le ultime parole puntando l’indice verso la porta chiusa. «Chiaro? Sennò chi lo senti a vostro patri?!»
«Sì, ho capito… In italiano. Come si addice a una giovane contessa» mormorò distratta Livia, uscendo dal bagno. «Me lo avete ripetuto cento volte. No, mille!»
«Ecco» concluse Teresa, prendendo la sua pupilla per un braccio e facendola sedere davanti alla specchiera per acconciarle i capelli.
Livia guardò le mani della donna che le accarezzavano la capigliatura di seta con amore e sorrise tra sé, grata a Dio di averle mandato una persona così buona e generosa, anche se permalosa, che fosse in grado di prendersi cura di lei come sua madre non aveva potuto fare.
Si lasciò cullare da quelle mani materne, grandi e morbide, mentre giocherellava con i gioielli che fuoriuscivano dal ricco portagioie d’argento aperto sul ripiano della specchiera. All’occhio attento e indagatore di Teresa non sfuggì uno strano oggetto confuso tra collane e braccialetti, che proprio non aveva l’aria di essere un gioiello. Lo afferrò prima che Livia potesse nasconderlo, lo osservò un attimo poi, con le mani sui fianchi e la mascella contratta, si rivolse alla sua giovane signora.
«Se vostru patri vedesse… chistu» disse brandendo l’oggetto minacciosamente davanti al naso di Livia, «una tragedia sarebbe!»
«Chistu» scandì Livia sorridendo, «si chiama rossetto. Le donne lo usano per farsi belle. Impara, Teresa!» Scoppiò in una fragorosa risata e le strappò l’oggetto dalle mani.
La domestica aggrottò le sopracciglia e non esitò a far valere le proprie ragioni. «Attenzione, figghia me’! Che secondo vostru patri…»
Livia terminò la frase alzando gli occhi al cielo. «…Queste cose non si addicono a una ragazza non maritata. Lo so!»
«Oh! Ecco. Lo sapete. Allora muta sto» concluse soddisfatta.
«Eh, meno male» Livia ridacchiò nonostante le occhiatacce di Teresa.
Si vestì in fretta e si diresse verso la porta, pronta per andare a fare colazione con suo padre. D’un tratto si arrestò e il sorriso le morì sulle labbra. Una voce maschile, proveniente dalla strada di fronte alla casa, colpì la sua attenzione, costringendola a voltarsi.
«Che c’è?» chiese la domestica preoccupata.
«Lo senti, Terè? È il cantastorie.» Livia tese l’orecchio, incantata dalla melodia soave.
«Embè?» chiese l’altra, il cui ultimo pensiero era ascoltare musica dai cantori di strada.
La mano della ragazza si posò delicatamente sulla bocca di Teresa. «Shh! Zitta e ascolta…» Si avvicinarono alla finestra per sentire meglio.
Il cantastorie se ne stava dritto sul marciapiede, la chitarra in mano e il cappello ben calcato in testa. Dietro di lui un enorme cartellone colorato, fissato sul muro di una casa, illustrava le scene della storia che stava cantando. Il capannello di gente che gli si era formato intorno lo ascoltava rapito, guardando ora lui, ora il manifesto. La voce piena e vibrante cantava con passione e trasporto su una melodia cupa e struggente:

Chianci Palermu, chianci Siragusa,
Carini cc’è lu luttu ad ogni casa;
cu’ la purtau sta nova dulurusa
mai paci pozz’ aviri a la sò casa!
Haju la menti mia tantu cunfusa,
lu cori abbunna lu sangu stravasa;
Vurria ‘na canzunedda rispittusa
chiancissi la culonna a la mè casa:
la megghiu stidda chi rideva in celu,
arma senza cappottu e senza velu;
la megghiu stidda di li sarafini,
povira barunissa di Cari
ni2!!”

Livia e Teresa incrociarono i loro sguardi, infine la ragazza ruppe il silenzio. «Hai sentito, Terè?»
«E che sorda sono?» rimbrottò quella.
Livia si accigliò, poi esclamò, eccitata. «Sei sempre la solita! Hai l’occasione di ascoltare una melodia così… così… Oh! Non trovo le parole! È come un pugno nello stomaco! Un colpo al cuore!»
«E come no? La Barunissa una pallottola si prese. Più colpo di così» rispose Teresa con il disincanto di chi conosce fin troppo bene il mondo.
«Vorrei tanto sapere perché perdo tempo a parlare con te.» Livia si allontanò dalla finestra e uscì di corsa dalla camera, ricordandosi che suo padre era ancora di sotto ad attenderla.
Mentre scendeva le scale si arrestò di nuovo, come se si fosse ricordata qualcosa d’importante. Per poco Teresa, che continuava a starle alle calcagna, non la urtò facendola ruzzolare per le scale.
«Piccirì, ma oggi avete proprio voglia di scherzare? Avanti, scendete, su!»
«Terè, dimmi un po’.» La voce di Livia era fresca, con una lieve cadenza dialettale. «La Barunissa morì per mano del marito, vero?»
«Sì e no» rispose Teresa nervosa.
«Che vuol dire? O è sì o è no» si infervorò Livia.
«Eh… vabbè, non è storia adatta a voi. Amuninni su, andiamo!» esclamò, dandole una lieve spinta.
«E dai. Promettimi che me la racconterai.» Gli occhi dolci di Livia la pregarono, pericolosa arma di seduzione per chiunque in quella casa, tranne che per suo padre.
«Come no? Ora, però, dovete scendere.» Teresa prese il braccio di Livia e tentò di trascinarla, ma quella si ritrasse, voltandosi di nuovo.
I lucenti capelli neri ondeggiarono, morbidi, ricadendole sulle spalle. «Un’ultima cosa. L’ultima, giuro.»
«Dio, pietà. Il conte mi ammazza» pregò la domestica alzando gli occhi al cielo.
«Mia madre mi cantava questa canzone quando ero bambina, vero?» chiese la ragazza, incurante dei timori della governante.
Teresa la guardò sorpresa. «Ve lo ricordate? Eravate picciridda, una bimbetta…»
«Ma lo ricordo, sì. Una delle poche immagini che conservo di lei, visto che mio padre ha fatto togliere tutte le sue foto» aggiunse indispettita. «E la voce… la sua voce riesco a rammentarla solo così» sorrise con tenerezza.
Il volto di Teresa si oscurò e i suoi occhi si velarono. «Andiamo…» sussurrò mesta.
Prese per mano Livia e insieme scesero nella sala da pranzo, dove le attendeva il conte Altamura.
«Mia figlia si degna di scendere a colazione! Quale onore!» La voce dura, possente e insieme ironica del conte Enrico Altamura riecheggiò nell’enorme sala dai soffitti alti, fatta costruire due secoli addietro da un antenato del nobiluomo.
«Buongiorno, papà.» Livia abbassò gli occhi e si sedette seria. L’allegria di poco prima sembrava scomparsa dal suo viso dolce, lasciando il posto a un contegno che poco si addiceva a una ragazza di diciannove anni.
Gli occhi neri di suo padre continuarono a scrutarla, alteri e indagatori, ma ella non osò fissarli, tanto si sentiva senza difese, quasi nuda, in balìa dei loro riflessi di fuoco.
Teresa servì la colazione in un silenzio teso. Con un gesto deciso il conte prese il giornale che aveva di fianco, sul tavolo e iniziò a sfogliarlo.
In quel momento, sicura di non essere vista, Livia alzò piano lo sguardo e serrò le labbra. Doveva dirglielo. Ora o mai più. Dopo colazione suo padre non avrebbe avuto tempo che per i suoi affari e sarebbe stato impossibile parlargli fino all’ora di cena, cioè quando sarebbe stato troppo tardi.
«Papà?» sussurrò piano la ragazza, tutto d’un fiato.
«Mmm?» grugnì il conte.
«Ehm… Dovrei parlarti. Puoi dedicarmi un momento?» disse, fissandolo ansiosa.
«Ti ascolto.»
Il tono non era incoraggiante e la marcata inflessione dialettale lo rendeva ancora più aspro e tagliente.
«Volevo dirti che…Vedi, ieri sono uscita con Marianna…»
«Lo so. Ti diedi io il permesso.» Il conte posò il giornale e riprese a osservare la figlia.
Livia sentì quel poco coraggio che aveva venirle meno, ma ormai non poteva più tornare indietro. «Sì… Ma io e Marianna abbiamo deciso… Vorremmo fare una cosa oggi. Ti prego non dirmi di no!»
«Cos’è?»
«Te lo dico, ma tu non dirmi di no, per favore!» gemette toccandogli il polso, come una bambina pronta a fare i capricci se non dovesse ottenere ciò che vuole.
«Prima dimmi cos’è, poi deciderò.»
«Va bene, te lo dico, ma…»
«Me lo vuoi dire o no?» si spazientì il conte. «Se tentenni così tanto, si vede che conosci già la risposta. Quindi ti dico subito no e tagliamo corto.» Fece per alzarsi, ma Livia lo trattenne per la mano.
«Papà! Aspetta! Te lo dico, va bene. Io e Marianna vorremmo fare un giro a Carini, stasera, e…»
«Non se ne parla nemmeno!» la interruppe il conte alzando la voce. «Ma che ti salta in testa? Di notte a Carini, da sula! Che camurria3 è questa?»
«Ma non sarò sola! Ci saranno Marianna, Andrea e Rocco» insistette.
«Eh, che bella compagnia!» tuonò, chinandosi su Livia.
«Ma oggi è l’anniversario della morte della Baronessa di Carini, papà, così abbiamo pensato…»
«Tu e gli amici tuoi, quando pensate, fate danno!» la troncò don Enrico, brusco.
«Ma papà… Torniamo presto! Subito dopo cena, promesso! Vogliamo solo vedere il castello, e il custode, che è amico di Andrea, ha detto che lo apre solo per noi.» Appena finì di parlare, desiderò sprofondare fino al centro della Terra. Come aveva potuto essere così stupida da rivelare una cosa del genere? Suo padre la incenerì con lo sguardo e Livia divenne tutta rossa.
«Il castello ha un padrone! Mica ci potete trasiri4 così! Di notte, poi. E che, ladri siete?» gridò, facendola tremare.
«Abbiamo scelto la sera perché è più… misterioso!» Si stava arrampicando sugli specchi, inanellando una sciocchezza dietro l’altra. Perché non riusciva mai a nascondere nulla a suo padre?
Il conte le lanciò un’occhiata perplessa e irata insieme.
«Io davvero vorrei sapere tutte queste stupidaggini chi te le ficca in testa!»
«Va bene, allora fai venire anche Teresa con noi. Però non sarò da sola. Marianna…»
«Marianna è maritata con Andrea» la zittì l’altro, gridando. «Tu no! E Teresa non si muove da qui… E nemmeno tu, chiaro?»
«Papà, perché devi sempre pensare male? Siamo amici sin da bambini» ribatté Livia candida.
«Ma ora non siete più picciriddi» disse il conte battendo il pugno sul tavolo e facendola sobbalzare. «Masculi e fimmine siete! Tu in età da marito per giunta! Con quello sfaticato di Rocco che ancora non si decide a prender moglie!»
«Basta, papà!» Livia si alzò di scatto dal tavolo, sotto lo sguardo stupito dell’uomo. «Va bene, hai vinto tu, non ci andrò. Contento?» Incrociò le braccia, imbronciata.
«Così si risponde a tuo patri?»
Stava per correre fuori dalla sala da pranzo, infuriata, quando don Enrico la richiamò indietro a voce bassa. «Livia, non si saluta?»
La giovane si voltò indispettita e raggiunse il conte, che le diede un veloce bacio sulla fronte ignorando la sua espressione supplichevole e irritata insieme. Quel lieve tocco paterno era l’unico gesto amorevole che riservava alla figlia ogni giorno, da quando era nata. Non era un uomo dal carattere espansivo e tutti sapevano che non tornava mai sulle sue decisioni.
Spesso Livia si scopriva a osservare con una punta di invidia le ragazze e le bambine accompagnate dai genitori lungo le vie ampie e assolate di Palermo, in chiesa o a scuola. Di sua madre, infatti, non aveva che vaghi ricordi, mentre suo padre non l’aveva mai accompagnata da nessuna parte, quello era compito dell’autista Giuseppe e non l’aveva mai né accarezzata né consolata. Il vero affetto, dopo la morte di donna Anna, lo aveva ricevuto solo da Teresa, che l’aveva vista nascere. Era lei a tranquillizzarla dopo ogni litigio con il conte, sempre lei a pregarla di capirne l’atteggiamento duro derivato da un’educazione rigida, ancora lei a calmare il suo spirito inquieto e desideroso di libertà. Se non ci fosse stata Teresa sarebbe fuggita, lontana da quell’ambiente soffocante, per non tornare mai più.

1Arruspigghiatevi”, ossia “svegliatevi” in dialetto siciliano.
2Traduzione e citazione dal libro di Alberto Varvaro, Adulteri, Delitti e Filologia. Il Caso della Baronessa di Carini, Il Mulino, Bologna, 2010. Piange Palermo, piange Siracusa,/a Carini c’è il lutto in ogni casa;/Chi portò questa notizia dolorosa/mai possa avere pace nella sua casa./Ho la mente mia tanto confusa/il cuore si commuove, il sangue travasa./Vorrei che una canzoncina mesta/piangesse la colonna della mia casa:/la meglio stella che rideva in cielo,/anima semplice,/la meglio stella dei serafini,/povera baronessa di Carini!”.
3Camurria” in dialetto siciliano vuol dire “seccatura, tormento”, intendendo una cosa sciocca e inopportuna, inutile se non addirittura nociva.
4Trasiri”, ossia “entrare”.


Alla prossima settimana con il proseguimento della storia!
Avanti con le domandee!

The Bibliophile Girl

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9 pensieri riguardo “Viaggio nella Palermo del 1950. Protagoniste: Livia e Laura – 1° tappa

  1. Ciao Francesca, complimenti, io sono curiosa… come mai hai deciso di inserire tanti dialoghi in siciliano? non pensi che questo possa essere controproducente o si trovano solo in questo breve estratto?

  2. Estratto interessante. Ho una domanda per te, Francesca: da dove nasce la voglia di ambientare il tuo romanzo proprio in Sicilia? Cosa ti ha spinto a preferire questa terra rispetto ad altre?

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